Il principio di non contestazione dispone che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal p.m., nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.
Ciò significa che al convenuto spetta l’onere di prendere posizione sui fatti pretesi dalla controparte, essendo la non contestazione specifica un comportamento rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente.
Corollario è che i fatti allegati e non specificamente contestati non devono essere provati in quanto ritenuti esistenti.
Il principio trova applicazione nei confronti di tutte le parti del giudizio, quindi non è soltanto il convenuto a dover proporre contestazioni specifiche in relazione alle deduzioni dell’attore, ma anche l’attore a dover opporre contestazioni specifiche alle affermazioni della controparte.
Si tratta di un principio generale del processo civile che con la Legge n. 69 del 2009 può essere applicato anche al giudizio tributario, in virtù di una tendenza all’economia processuale che punta a realizzare una forma semplificata con efficacia vincolante per lo stesso giudicante.
Eppure, l’applicazione del principio di non contestazione anche al giudizio tributario non è scevro da difficoltà…
L’ostacolo maggiore è costituito dalla natura non disponibile dell’obbligazione tributaria, mentre il principio di non contestazione dovrebbe trovare applicazione con riferimento ai diritti disponibili, cioè un diritto di cui le parti dispongono.
E tuttavia la questione è stata diramata dalla Corte di Cassazione, che ha affermato che il principio processual-civilistico di non contestazione è “certamente valevole anche nel processo tributario”, e deve interpretarsi come onere di contestazione tempestiva dei fatti dedotti ex adverso.
Altro “limite” potrebbe essere la prova per testimoni.
Tuttavia il principio di non contestazione davanti al giudice tributario può trovare applicazione a prescindere dai mezzi di prova utilizzabili o richiesti nel giudizio.
Ergo, la parte può supplire con la produzione di dichiarazioni di terzi che, ancorché sprovviste del valore probatorio tipico della prova testimoniale, acquisiscono comunque nel processo tributario valore di elementi di prova, di natura indiziaria, idonei a fondare il convincimento del giudice, da soli o unitamente ad altri elementi, purché se ne fornisca adeguata motivazione.
In caso contrario, il giudice tributario può disattendere le suddette dichiarazioni, qualora la motivazione della sentenza risulti incompatibile con le dichiarazioni rese dal terzo.
È a partire dai ricorsi tributari datati 4 luglio 2009 che si applica il principio di non contestazione; tuttavia, anche per quelli instaurati prima di tale data, una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento.
Tuttavia, queste che abbiamo evidenziato sono solo alcune delle numerose difficoltà che accompagnano l’adozione del principio di non contestazione tempestiva e specifica nel processo tributario.
Ragion per cui, è molto meglio prevedere la consulenza di un bravo tributarista (qua trovate i migliori di Milano http://avvocatitributaristi.com, ma verosimilmente potrebbero esistere siti analoghi anche per altre città) quando si decide di contestare un atto emesso dall’Agenzia delle Entrate o da qualsiasi altro Ente statale, richiedente la corresponsione di una somma di denaro che si reputa iniqua, quando non addirittura ingiustificata e insussistente.